La costituzione dell’associazionismo economico in Italia

Antonio Patuelli

Presidente Associazione Bancaria Italiana

Grazie, Dott. Pascucci, per l’eccessiva benevolenza che ha voluto manifestare nei miei confronti nella sua presentazione. Preliminarmente, voglio rivolgere un saluto particolare al Presidente Maurizio Sella di cui apprezzo sinceramente le modalità di conduzione della presidenza dell’Istituto Luigi Einaudi per gli studi bancari finanziari e assicurativi, la cui attività è assolutamente connessa sotto il profilo culturale e strategico con l’Associazione Bancaria Italiana.

Non sono venuto con un testo scritto. Concedetemi la gioia di poter parlare di Luigi Einaudi secondo la mia sensibilità e nel modo con cui lo sento a me vicino.

Ritengo che il volume che presentiamo oggi costituisca un primo e importante passo nel cammino di avvicinamento alle celebrazioni del sessantesimo anniversario della scomparsa di Einaudi. Di un evento cioè che non è da commemorare strumentalmente, ma attraverso la rilettura e la riflessione sul suo magistero.

Einaudi muove i primi passi di studioso avendo letto da ragazzo Alexis de Tocqueville. La concezione della democrazia in America costituisce certamente uno dei cardini fondamentali che ispirò il pensiero einaudiano e, più in generale, la costruzione del tessuto dell’associazionismo economico italiano dall’Unità al primissimo dopoguerra.

In particolare, Einaudi ha ben presente la lezione di Tocqueville secondo cui le democrazie, per essere solide, devono poter contare, tra i loro requisiti distintivi, sulla presenza di una forte componente di libero associazionismo sia di imprese, sia di lavoratori.

Su questa base Einaudi avvia la sua attività come uomo di studi, ma anche e soprattutto come uomo che viene dalla terra, al punto che le sue riflessioni sono fortemente connotate non soltanto dall’interesse per gli studi economici, bancari e finanziari (che ci toccano direttamente), ma anche dall’attenzione nei confronti dell’economia agricola e, addirittura, dell’economia domestica della sua Dogliani.

La realtà dell’associazionismo in cui Einaudi nasce e si forma è essenzialmente di natura agricola; d’altra parte l’associazionismo agrario costituisce anche il bacino in cui nascono e si sviluppano tante iniziative risorgimentali. In questa prospettiva, non fu un caso il suo collegamento con l’Accademia dei Georgofili di Firenze. E non costituirono un caso le iniziative che egli attivò con stretto riferimento alle esperienze associative in agricoltura, da intendere in quegli anni come caratterizzanti l’intero fenomeno dell’associazionismo economico. Infatti, solo negli ultimi anni dell’Ottocento, nacquero e si affermarono quelle che Einaudi avrebbe chiamato le leghe operaie.

Prima di procedere oltre, permettetemi di sottolineare come il volume che stiamo presentando possa vantare, tra gli altri, un grande pregio. Se andate a p. 235 trovate un qualcosa che, almeno a mia conoscenza, non è possibile trovare da nessun’altra parte. Si tratta della «Tavola sinottica dei principali avvenimenti nel campo dell’associazionismo economico (1861-1920)», che costituisce uno strumento molto importante di semplificazione delle ricerche, degli studi e delle consultazioni. Mi congratulo con gli Autori per questa apprezzabilissima iniziativa.

Riprendo la narrazione, ricordando che nel 1924 Einaudi pubblica con Gobetti editore un volume molto importante, Le lotte del lavoro, in cui compaiono suoi scritti pubblicati dal 1897 al 1919. Il libro – nel quale la scelta dell’editore non è certo casuale, stante il forte legame che caratterizzava il rapporto tra Luigi Einaudi e Piero Gobetti, suo discepolo all’Università di Torino – costituisce un contributo di grande intelligenza nel quale viene esaltata la creatività costruttiva finalizzata alla tutela dei diritti dei lavoratori e, allo stesso tempo, alla tutela dello sviluppo economico e della produttività.

Nelle Lotte del lavoro, come ben documenta a p. 37 il volume che presentiamo, Einaudi dimostra di avere particolarmente a cuore anche la difesa dei lavoratori italiani emigrati all’estero per trovare quei mezzi di sussistenza che faticavano a trovare in patria.

Quando Francesco Dandolo passa a descrivere la nascita delle leghe degli industriali (pp. 58 e seguenti) appare evidente il ritardo con il quale esse sorgono e si affermano rispetto all’associazionismo agricolo. La ragione sta nell’oggettiva lentezza nell’industrializzazione del Paese e delle difficoltà incontrate dagli imprenditori italiani nell’affermarsi come motore primario di questo processo.

Al riguardo, desidero richiamare un libro fondamentale per comprendere questo processo, che non può essere rieditato in quanto la proprietà di marchio non è ancora libera. Si tratta del volume di Francesco Saverio Nitti Il capitale straniero in Italia pubblicato nel 1915 da Laterza, nel quale viene tracciata la storia del capitalismo italiano dopo l’Unità. In esso Nitti ne ricostruisce la grande debolezza e pone in evidenza come i grandi investimenti infrastrutturali necessari alla modernizzazione dell’Italia appena riunita – ferrovie, illuminazione delle città, trasporti urbani – furono finanziati da capitali esteri soprattutto francesi, belgi e britannici.

Una storia importante quella della modernizzazione dell’Italia, il cui ripercorrerla mi suscita emozioni profonde legate anche alla figura, a me particolarmente cara, del conterraneo Alfredo Baccarini, ravennate di Russi, per molti anni Ministro dei Lavori Pubblici del Regno d’Italia, l’uomo delle bonifiche, delle ferrovie e della riforma dei corpi tecnici. Non a caso nel 1990 ne coordinai le celebrazioni per il centenario della morte, alla presenza del Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, come avrei fatto l’anno successivo per le celebrazioni del trentennale della scomparsa di Luigi Einaudi nel Salone degli Svizzeri a Torino, sempre alla presenza di Francesco Cossiga.

Dopo gli analoghi fenomeni che interessarono l’agricoltura e l’industria, è solo agli inizi del 1900 che comincia a muoversi anche l’associazionismo bancario. Il motivo di questo ritardo risiede nella estrema disomogeneità del tessuto delle banche italiane dopo le devastazioni finanziarie di fine ‘800. Si trattava di un mondo molto parcellizzato e caratterizzato dalla presenza di Monti di Pietà per loro natura poco inclini all’associazionismo, di un gran numero di Casse di Risparmio aventi vocazione essenzialmente localistica e di una forte rappresentanza del credito cooperativo nelle sue due accezioni: le Banche Popolari, sorte su impulso di uno statista lungimirante e illuminato come Luigi Luzzatti che le aveva importate in Italia dalla Germania e dalla Francia, e le Casse Rurali e Artigiane, anch’esse frutto dell’intuizione di un pensatore estero come Federico Guglielmo Raiffeisen e della tenacia realizzativa di Leone Wollemborg.

Nel volume di Francesco Dandolo, da p. 175 in poi, si ritrova una sintetica, ma approfondita rievocazione della nascita dell’associazionismo bancario che vede dapprima le Banche Popolari legarsi, sotto la guida di Luigi Luzzatti, in una forma di associazionismo a livello nazionale (1876), seguite dalle Casse Rurali e Artigiane (1909) e dalle Casse di Risparmio (1912).

Finalmente nel 1919 – a seguito di un processo attivato dal Governo dell’epoca nel difficilissimo anno 1917 in cui gli italiani erano impegnati a difendere sul Piave l’unità e l’indipendenza della Patria e il sistema bancario nazionale era chiamato a sostenere l’immane sforzo dell’industria bellica – viene costituita l’Associazione Bancaria Italiana. Lo scorso anno, in occasione dell’Assemblea del mese di luglio, abbiamo festeggiato la ricorrenza, alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Per concludere, se debbo provare a fare un confronto tra quel complesso e tragico dopoguerra e l’attuale emergenza della pandemia, rilevo che occorre ora lo spirito di resistenza e la volontà di ricerca della vittoria sull’epidemia del Covid-19, come quelli che gli italiani ebbero dopo Caporetto nel 1917.