Einaudi e l’associazionismo economico

1. Nell’esilio svizzero (1943-1944) Luigi Einaudi maturò la convinzione che “la società sana sia quella in cui fra l’individuo e lo Stato abbia esistenza autonoma una fitta rete di organismi e corpi intermedi: anzitutto la famiglia, centro di affetti e santuario di tradizioni ma anche polo di vita economica; poi il collegio elettorale, piccolo, all’uso anglosassone, perché candidati ed elettori possano conoscersi e intendersi; ancora, la scuola, con programmi non uniformi e in cui gli esami siano sostituiti quanto più possibile da colloqui; l’università e l’accademia scientifica, in cui la cooptazione dei membri garantisca l’indipendenza; le “leghe” dei lavoratori e degli imprenditori, associazioni volontarie e non coattive, che si accordino fra loro senza mediazioni statali di alcun tipo; infine, il partito politico, concepito come unione di persone intorno a un programma piuttosto che come organismo burocratico intorno ad una rigida ideologia” (R. Faucci, “Luigi Einaudi”, Utet, Torino 1986, pagg. 418-419).

In buona sostanza, Einaudi attribuisce alle “leghe” dei lavoratori (gli attuali sindacati di lavoratori) e degli imprenditori (le attuali associazioni imprenditoriali) una fondamentale funzione di collegamento, in qualità di “organismi e corpi intermedi”, tra il cittadino e lo Stato.

L’Istituto ha deciso di approfondire questa intuizione, investigandone natura e fondatezza attraverso un programma di ricerca volto all’approfondimento del pensiero di Luigi Einaudi sulla rappresentanza degli interessi, intesa come funzionale al perseguimento del bene comune nel rispetto delle competenze dettate dai diversi ruoli ricoperti dalle parti in causa (Stato, associazionismo economico e sindacale).

La ricerca, affidata a Francesco Dandolo, prende in considerazione, inquadrandole nel più ampio contesto dello studio dell’evoluzione del fenomeno associativo coevo, tre fasi della riflessione einaudiana:

  • il pensiero del “giovane” Einaudi (1899-1919);
  • le riflessioni maturate nel periodo del fascismo (1919-1939);
  • le convinzioni raggiunte nel periodo bellico e repubblicano fino alla sua scomparsa (1940-1961).

2. Nel mese di settembre 2019 è stata completata la prima fase del lavoro con la pubblicazione del volume “Luigi Einaudi e l’associazionismo economico nell’Italia liberale”, che comprende il saggio di Francesco Dandolo “Associazioni operaie e associazioni industriali in Luigi Einaudi dall’Italia giolittiana al primo dopoguerra (1899-1919)” e il saggio di inquadramento storico curato da Filippo Sbrana e da Valerio Torreggiani “Le associazioni degli imprenditori nell’Italia liberale (1861-1920)” (clicca qui per la scheda del libro).

Nel volume sono presenti quattro ricostruzioni storiche:

  • il pensiero del “giovane” Einaudi sull’associazionismo economico o, meglio, sui conflitti tra lavoratori ed imprenditori e sulle modalità di comporli;

  • l’origine dell’associazionismo industriale caratterizzato non solo dalla contrapposizione con gli operai, ma anche e soprattutto dallo sforzo degli industriali di farsi riconoscere come classe dirigente nei decenni post-unitari dominati in Parlamento e nell’opinione pubblica dalla convinzione che l’agricoltura fosse il settore primario dell’economia del neonato Regno d’Italia;

  • l’origine dell’associazionismo agrario ispirato dalla difesa dei privilegi e delle posizioni acquisite dai proprietari terrieri a fronte della crescente pressione dei braccianti e dei salariati agricoli, con la progressiva frantumazione di un interesse originariamente unitario;

  • l’origine dell’associazionismo creditizio caratterizzato dalla sostanziale assenza di una controparte avversa costituita dai dipendenti alla quale contrapporsi e, piuttosto, impegnato a ricondurre ad unità le posizioni di una collettività di “datori di credito” estremamente variegata come origini, finalità e modalità di azione.

In questo contesto, Francesco Dandolo riesce a “far parlare” Einaudi, sviluppandone il ragionamento attraverso la traccia costituita dagli scritti apparsi sulla stampa quotidiana (“Corriere della Sera”, “La Stampa”), periodica (“Riforma sociale”) e scientifica (“Lezioni di Economia Politica”).

Al termine della lettura viene agevole enucleare i concetti chiave che ispirano la posizione sull’associazionismo economico del “giovane” Einaudi, il quale ritiene, in primo luogo, che la formazione di associazioni di rappresentanza degli interessi degli industriali e dei lavoratori costituisca un frutto maturo del capitalismo liberale e contribuisca ad assicurare la pace sociale. Va dunque riconosciuta piena libertà alla dialettica fisiologica fra le rappresentanze collettive dei lavoratori e degli imprenditori.

Per altro verso, Einaudi sostiene la necessità di considerare il lavoro come strumento di elevazione dell’uomo, laddove lo Stato deve svolgere un ruolo distaccato ma non indifferente nel rapportarsi alle dinamiche sociali, cioè deve porsi come regolatore, ma non anche come fattore dinamico della produzione.

3. Nel mese di settembre 2022 è stato pubblicato il secondo volume della trilogia dal titolo “Luigi Einaudi tra le due guerre. Questioni sociali e banche” (clicca qui per la scheda del libro).

Anche in questo caso, il volume si articola nel saggio dell’Autore (“Conflittualità sociale e mondo bancario nel pensiero di Luigi Einaudi”) e in un saggio di inquadramento storico curato da Valerio Torreggiani (“Banche, politica e rappresentanza in Italia tra le due guerre mondiali”).

Dal lavoro emerge che nel periodo preso in esame – 1919-1939 – l’attenzione di Einaudi non è più concentrata sull’associazionismo industriale ed agrario (atteggiamento, d’altra parte, reso inevitabile dalla progressiva soppressione delle libertà sindacali da parte del fascismo), ma si focalizza sulle funzioni e sulle prerogative delle banche. Al riguardo, egli sostiene la rilevanza fondamentale del corretto funzionamento delle istituzioni creditizie, sulle quali grava la responsabilità di gestire denaro altrui.

Parlando di banche Einaudi parla di associazionismo o, meglio, della più importante funzione – quella della mediazione – da esso svolta. Questa impostazione concettuale gli permette di stabilire un parallelismo tra il ruolo svolto nell’Italia liberale dalle “leghe” (dei lavoratori e degli imprenditori) e il ruolo assegnato nell’Italia fascista alle banche in quanto custodi e amministratrici del risparmio inteso come bene nazionale. In entrambi i casi la funzione di mediazione sociale risulta decisiva, nell’intento di saper rappresentare interessi comuni della collettività e di contribuire per tale via a determinare ricadute positive per uno sviluppo armonico ed equilibrato dell’intera società.

In una parola, Einaudi individua nel coinvolgimento di più livelli di mediazione (siano essi interpretati dalle “leghe” o dalle banche) la possibilità di dare coesione e progettualità al Paese.

Nascono così le magistrali pagine einaudiane sugli intrecci tra banca e industria e sull’intervento dello Stato nelle crisi bancarie e, più tardi, sulle caratteristiche del buon banchiere (la “difficile arte del banchiere”), sulle banche senza aggettivi, sulla compatibilità tra grandi e piccole banche, sulle specializzazioni temporali, funzionali e territoriali nell’esercizio del credito.

E largo spazio viene riservato a tutte le grandi questioni che hanno riguardato il sistema bancario nel ventennio: dalla crisi del modello di banca mista ai già richiamati intrecci tra banca e industria ed ai dissesti e ai salvataggi bancari; dalla crisi del 1929 alla grande depressione degli anni Trenta; dalla riorganizzazione dell’ordinamento del credito alle leggi bancarie del 1926 e del 1936; dalla costruzione del sistema corporativo fascista con conseguente conferimento della rappresentanza degli interessi bancari alla corporazione della previdenza e del credito al controllo politico dell’attività bancaria.