
Filippo Sbrana
Coordinatore scientifico Istituto Luigi Einaudi per gli studi bancari, finanziari e assicurativi
- La nascita dell’associazionismo in Italia
Nel progetto di ricerca sulle origini dell’associazionismo imprenditoriale di cui oggi presentiamo un’anticipazione, il mio contributo è incentrato sugli organismi di carattere nazionale. La storiografia ha indagato questo periodo concentrandosi sulle vicende dei singoli organismi di rappresentanza. Il tentativo che sto conducendo con il mio studio è di offrire una lettura cl’ insieme sull’associazionismo degli imprenditori, pur con la consapevolezza che i diversi organismi seguirono percorsi differenziati, sia per i tempi sia per le caratteristiche.
La nascita e il consolidarsi dell’associazionismo delle imprese a livello nazionale è un processo complesso, che si delinea fra la fine dell’Ottocento e gli anni che seguono la Prima guerra mondiale, quando vengono fondate l’ABI, la Confagricoltura e la Confindustria. Da allora e fino a oggi questi tre organismi offrono un contributo importante per un efficiente governo degli interessi organizzati, come lo definiscono alcuni studiosi. Fra di essi Giuseppe Berta, che ha parlato di un’opera complessa e anche insidiosa, ma «ineliminabile dalla ricerca di un equilibrio nella società contemporanea e ( … ) ormai una costante della storia dell’Italia dell’ultimo secolo» [1].
Molti dei presenti conoscono le attività delle associazioni delle imprese, ma credo sia utile farvi un brevissimo cenno, prima di ricostruirne la storia. Questi organismi rappresentano i loro associati, che si iscrivono su base volontaria, e offrono loro una serie di servizi, che cambiano nel tempo da un soggetto all’altro, ma che a grandi linee possiamo così indicare: la rappresentanza del settore di fronte alle diverse autorità e al pubblico; le relazioni con i sindacati dei lavoratori; la tutela dei legittimi interessi collettivi degli associati.
- L’importanza del contesto economico, sociale e politico
Per ripercorrere il processo che porta alla nascita di ABI, Confagricoltura e Confindustria, il primo elemento da considerare è che l’Italia dell’800 non era una società di massa. Al contrario, era un paese fortemente elitario dal punto di vista sociale e politico, in cui gli imprenditori tendevano a operare in modo molto individuale, concentrati sulla propria azienda com’ è peraltro tipico. Non era spontaneo associarsi. In fondo, perché bisognava impegnarsi per qualcosa che era al di fuori della propria azienda? E perché cooperare con i propri concorrenti? Come abbiamo ascoltato dalla precedente relazione, furono necessari diversi decenni per registrare la diffusione dell’associazionismo a livello territoriale e settoriale. E altro tempo servì perché si delineasse un associazionismo di carattere nazionale.
I dubbi nelle aziende erano molti. Perché spendere denari e tempo in qualcosa che, almeno potenzialmente, poteva portare a una diminuzione della libertà di ciascun soggetto? Perché investire in reputazione? Ecco allora che il primo punto cruciale fu la coscienza dell’utilità, se non della necessità, dell’ associazionismo. Questa maturò in una trama complessa di fatti economici, vicende politiche e profonde trasformazioni sociali. Fu il cambiamento della società a rappresentare un impulso fondamentale all’ azione collettiva delle aziende.
Come cambiò l’Italia in questi anni? In primo luogo, nella sua struttura produttiva. Per dirla in estrema sintesi, un paese fortemente agricolo vide in poco tempo la formazione di una importante struttura industriale. E quindi di un mondo operaio, che prima non c’era. Si delineò anche una significativa struttura bancaria: lo sviluppo economico favorì la costituzione di un mercato monetario e finanziario con dimensioni ampie, mentre si diffondevano nelle principali città italiane le grandi banche moderne.
I cambiamenti erano anche di altra natura. Il sistema politico si trasformò significativamente in questi anni. Basti pensare al progressivo allargamento del corpo elettorale nel Paese. Nel 1882 passò da meno di 500.000 persone a oltre due milioni. Per i proprietari terrieri l’ampliamento dell’elettorato fu un elemento di rilievo, perché diminuì il peso della proprietà fondiaria in Parlamento. Nello stesso periodo, fra l’altro, il settore primario attraversò una forte crisi e il suo contributo al reddito nazionale scese dal 57 al 48%.
La Società degli agricoltori italiani. Senza entrare nell’analisi delle cause, apparve evidente che l’agricoltura italiana aveva bisogno di essere ammodernata e si pose l’esigenza di rappresentare gli interessi agrari in una fase difficile. Prese così avvio il processo che alcuni anni dopo portò alla nascita della Sai, Società degli agricoltori italiani.
La Sai nacque nel 1895 dalla convergenza fra esponenti della proprietà fondiaria, dell’amministrazione del Ministero dell’Agricoltura e settori rilevanti del ceto politico liberale. Rappresentava una fase piuttosto iniziale dell’associazionismo. Si proponeva, ad esempio, di rappresentare non solo le aziende ma tutto il mondo agricolo, inclusi i lavoratori. Inoltre, era legata a logiche molto individuali, nel senso che l’iscrizione dei singoli era nettamente prevalente rispetto a quella veicolata da organismi associativi di carattere locale, nonostante il numero dei produttori agricoli fosse molto grande. La nascita della Sai, tuttavia, fu una tappa significativa come primo passaggio nella costruzione dell’associazionismo delle imprese a livello nazionale.
Nel frattempo la diffusione dell’industria nel Paese era divenuta un fenomeno assai rilevante e si manifestavano grandi trasformazioni sociali, oltre che economiche: erano le rerum novarum (ossia le cose nuove) come le chiamò il Papa Leone XIII in una enciclica di grande importanza. I lavoratori portavano avanti le loro legittime istanze, anche perché molti vivevano ai limiti della sussistenza. Venne fondato il Partito socialista, si diffusero i sindacati dei lavoratori (da Federterra alla Confederazione generale del Lavoro), si moltiplicarono gli scioperi nel Paese.
Con Giolitti a inizio Novecento prese avvio una stagione nuova, con un atteggiamento neutrale del governo (almeno formalmente) di fronte ai conflitti fra capitale e lavoro. Le tensioni sociali erano forti. Per le imprese si pose con forza l’esigenza di affrontare insieme, in modo coeso, le richieste dei lavoratori e una politica ormai cambiata. Come? Con un partito a tutela dei loro interessi? Con nuovi organismi sindacali di rappresentanza? Se ne discusse a lungo.
La Confederazione italiana dell’industria. Avvenne in questa fase il secondo passaggio fondamentale: la fondazione della Confederazione italiana dell’Industria (identificata con la sigla Cidi, per distinguerla dalla Confindustria che sarà fondata diversi anni dopo). All’origine ci fu Torino. città cruciale per l’industria. La Lega industriale di Torino venne fondata nel 1906. I suoi vertici, il presidente Louis Bonnefon Craponne e il segretario generale Gino Olivetti. promossero due anni dopo la Federazione industriale Piemontese e poi l’organismo nazionale. La Cidi venne fondata nel 1910, che fra l’altro è lo stesso anno in cui nasce l’Assonime. Insieme alla tutela degli interessi c’era anche il problema della reputazione, perché l’industria era accusata in alcuni ambienti di minare la pace sociale. Si poneva una sfida di carattere culturale, ossia far identificare nell’industria un elemento di modernizzazione e sviluppo del Paese.
- Lo snodo della Prima Guerra Mondiale
Il Paese continuava a cambiare e assumeva sempre di più i caratteri di una società di massa: industrializzazione, urbanizzazione, partiti e organizzazioni di massa. La Prima Guerra Mondiale fu il passaggio decisivo, perché si trattò di un conflitto di massa in ogni suo aspetto, dalla mobilitazione bellica, all’impegno finanziario, a quello industriale, al ruolo dello Stato. Al termine della guerra, in una società in rapida evoluzione, si delinearono gli assetti di un associazionismo delle aziende più moderno e rappresentativo.
L’Associazione Bancaria Italiana. È in questa fase che si registra il terzo passaggio, con la nascita di una nuova grande forza di rappresentanza nel settore del credito, l’Associazione Bancaria Italiana. Fino a quel momento esistevano le associazioni delle diverse categorie di banche, ma non un organismo unitario. I1 primo passaggio per la sua nascita fu proprio la guerra: una stagione complessa per il bilancio dello Stato (i costi del conflitto furono altissimi), i cambi con l’estero, i tassi. Il governo chiese collaborazione al settore bancario: servivano comportamenti univoci e assunzioni di responsabilità per l’interesse generale.
Le banche si trovarono a operare in modo condiviso e l’esigenza di un maggiore coordinamento iniziò a essere avvertita con forza, al fine di uniformare e perfezionare le operazioni, strutturare il sistema dei pagamenti a livello nazionale, definire alcune prassi condivise verso la clientela. Peraltro, l’associazionismo si era ormai diffuso in Italia e in tutta Europa. un’efficace di tutela degli interessi rendeva essenziale esprimersi con una voce sola, almeno su alcuni temi. I presupposti alla nascita dell’associazione nazionale delle banche c’erano ormai tutti.
L’occasione venne dal ministro del Tesoro, Francesco Saverio Nitti, che propose nel 1918 di fondare un’associazione nazionale unitaria di banche e banchieri. Era fondamentale per il governo – e anche per l’autorità monetaria – poter collaborare con un insieme di soggetti rappresentativi del settore bancario. Inoltre, si volevano prevenire forme di concorrenza estrema, che potevano avere esiti pericolosi. L’invito di Nitti venne accolto. Fu creato un comitato promotore e nel 1919 venne fondata 1’ABI (che fra poco celebrerà il suo primo centenario).
È opportuna una breve sottolineatura. In questa fase divenne evidente che l’associazionismo aveva una funzione importante non solo per la tutela degli interessi degli associati ma per il buon ordinamento dell società, che rischiava altrimenti di essere «ingestibile», se le autorità dovevano confrontarsi con tantissime posizioni individuali non coordinate fra loro. Perché all’origine dell’ABI e della Società degli agricoltori (di cui abbiamo detto) ci fu anche la sollecitazione dello Stato? Le motivazioni furono diverse, ma fra le più i-portanti c’era la necessità per le autorità di avere interlocutori collettivi nel mondo della produzione. Perché quelli individuali, per quanto grandi fossero, non bastavano più.
La Confindustria. Dopo la guerra vi furono cambiamenti importanti anche negli altri due settori produttivi di cui abbiamo parlato in precedenza e giunse a compimento la nascita degli organismi di rappresentanza. Gli industriali rinnovarono la loro confederazione nazionale. La Cidi aveva vissuto con grande difficoltà il conflitto: gli interessi degli industriali erano frammentati e sovente divergenti, tanto che la loro associazione non era riuscita a fare una sintesi. D’altro canto, con la guerra l’industria aveva assunto un ruolo di tutto rilievo, basti pensare agli armamenti. All’ inizio del 1919 venne avviata una sorta di rifondazione e poco tempo dopo nacque la Confederazione generale dell’industria italiana, più conosciuta come Confindustria. Fu dotata di un nuovo statuto e la sede venne spostata a Roma. Il numero di aziende associate crebbe di molto rispetto alla Cidi con la presenza significativa anche dell’industria meridionale, in precedenza assente.
La Confagricoltura. Nel settore agricolo si concluse nel 1920 l’esperienza della Sai e venne fondata la nuova rappresentanza datoriale del settore, la Confagricoltura. Era la prima associazione agricola che riuniva funzioni unitarie di rappresentanza economica, politica e sindacale. Nel giorno della fondazione erano presenti ben 300 associazioni agrarie.
In un volume sulla storia di Confagricoltura Sandro Rogari ha osservato che, pur essendoci un’apparente continuità fra i soggetti preesistenti e quelli che vedevano la luce in questa fase, stava nascendo una realtà nuova a livello associativo, perché la fine dell’Italia liberale e del sistema politico collegato chiedeva nuovi modelli di rappresentanza[2]. Si può estendere tale considerazione anche oltre il settore primario. Non appare casuale, infatti, che fra 1919 e 1920 vennero costituiti tre nuovi soggetti, che da quel momento avrebbero rappresentano a livello nazionale le imprese operanti nell’agricoltura, nell’industria e nel credito.
Per concludere va fatto almeno un cenno a tante figure autorevoli, più o meno note, che offrirono il loro contributo nella storia che abbiamo ripercorso. Nell’industria sono già stati citati Louis Bonnefon Craponne e Gino Olivetti. Nel settore bancario vanno ricordati almeno il primo presidente dell’ABl Luigi Della Torre e Giuseppe Bianchini, primo direttore generale divenuto in seguito presidente. Infine Giuseppe Devincenzi, Raffaele Cappelli e Francesco Coletti nel settore agricolo. Grazie al contributo loro – e di tanti altri – vennero costituite ABI, Confagricoltura e Confindustria, che si trovarono ad affrontare immediatamente situazioni non facili come il cosiddetto «biennio rosso». Sarebbero poi state chiamate nei decenni seguenti a confrontarsi con scenari difficili (a cominciare dal fascismo) e sfide economiche spesso complesse- Anche per questo sarebbero divenute lungo il Novecento un riferimento importante per le imprese loro associate e non solo.
[1] G. Berta, li governo degli interessi. Industriali, rappresentanza e politica ne/l’Italia del nord-ovest 1906-1924, Marisilio,Venezia 1996, p. XV.
[2]S. Rogari (a cura di), La Confagricoltura nella Storia d’ltalia, Dalle origini dell’associazionismo agricolo nazionale a oggi, il Mulino, Bologna, 1999,p.71 .