Tutela è partecipazione

Monica Grossi

Soprintendente archivistico e bibliografico del Lazio

  1. I garanti della tutela dei beni culturali

Il titolo del mio intervento – Tutela è partecipazione – è stato volutamente scelto per sottolineare un concetto che ritengo fondamentale nel lavoro di curatore del patrimonio culturale, e che penso possa essere utilmente applicato in molti ambiti dell’esperienza sociale.

La tutela è un processo che coinvolge persone e mezzi e attraversa il tempo. Prima ancora di guardare ai mezzi, alle risorse materiali, penso sia dunque opportuno rivolgerci alle persone, e riconoscere che la piena tutela dei beni culturali si può raggiungere solo attraverso la sensibilizzazione della comunità e la collaborazione di tutti i soggetti coinvolti.

Il professor Dandolo ha rammentato, nel suo intervento, la sensibilità di Luigi Einaudi per la valorizzazione delle risorse umane presenti nella società. Questa stessa valorizzazione, che passa per il coinvolgimento diretto e consapevole, con modi e tempi diversificati a seconda del ruolo ricoperto, è al centro del processo di tutela dei nostri beni culturali archivistici – come pure dell’esercizio di altre funzioni dello Stato.

In primo luogo, parleremo di coinvolgimento e valorizzazione delle donne e degli uomini che, operando alf interno degli uffici dei soggetti produttori e conservatori di archivi, esercitano il loro ruolo di primi gestori della documentazione e sono chiamati a farlo in sintonia con le indicazioni e le azioni della Soprintendenza archivistica e bibliografica. Ciò posto, ritengo che di tutela si possa e si debba parlare anche con riferimento alla partecipazione dei cittadini alla costruzione di una sensibilità culturale per la cura di un patrimonio archivistico che va considerato patrimonio dell’intera collettività.

Per quanto rilevanti possano mai essere gli investimenti del Ministero per i beni e le attività culturali, con la Dire zione generale degli Archivi, le sue Soprintendenze e i suoi Archivi di Stato, solo l’aumento della sensibilità dei cittadini nei confronti della corretta gestione e conservazione dei beni culturali è destinato a produrre un effetto durevole, costituendo un generatore di beni relazionali che consente di raggiungere il consolidamento di quel capitale sociale e culturale molto caro ai teorici della gestione dei beni comuni[1].

Gli archivisti. Identificheremo i primi garanti della tutela, dunque, in coloro che, attraverso il loro lavoro, concorrono alla produzione degli archivi generando documentazione amministrativa, gestendola e conservandola prima che i responsabili degli archivi storici la acquisiscano per renderla disponibile a tutti i cittadini: raccomando a chi produce archivi negli enti pubblici di essere profondamente consapevole del fatto che sta generando un patrimonio culturale che, per sua stessa definizione, costituisce fin dalla nascita un bene di tutti, un bene collettivo.

Sul patrimonio culturale si esercita la tutela dello Stato che, ai sensi dell’articolo 3 del Codice dei Beni culturali (d.lgs. n. 42/2014), “consiste nell’esercizio e nella disciplina delle attività dirette, sulla base di un’adeguata attività conoscitiva, a individuare i beni costituenti il patrimonio culturale e a garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione”. In questa definizione vengono richiamati concetti quali la conoscenza e l’individuazione del bene culturale, la sua protezione e la sua conservazione Come pure, citata in ultimo perché effetto delle precedenti attività, la sua pubblica fruizione

I cittadini. Tale definizione porta a interrogarsi sulla valenza che può assumere il coinvolgimento culturale dei cittadini nella tutela, come ricaduta finale di un più vasto processo di partecipazione all’intero ciclo di vita degli archivi pubblici, volto a esaltarne la funzione civile di luoghi attivi di conservazione della memoria e di azione culturale e sociale.

La partecipazione dei cittadini alla cura e alla valorizzazione del patrimonio culturale collettivo è al centro degli investimenti dell’Europa, che si propone di “raggiungere un pubblico più ampio possibile, in particolare i bambini e i giovani, le comunità locali e coloro che raramente entrano in contatto con la cultura. e il patrimonio, al fine di rinnovare il comune senso di responsabilità. E perché il patrimonio culturale è un bene comune e un catalizzatore di intelligenza collettiva: non si può non lavorarvi con approcci partecipativi aperti”[2].- La Commissione europea ha’, pertanto, definito un piano per il 2018 a sostegno di iniziative costruite intorno a quattro pilastri: partecipazione, sostenibilità, protezione e innovazione[3].

Le istituzioni pubbliche. La comunità internazionale e le sue istituzioni si stanno dunque orientando sempre più nettamente verso un concetto di gestione del bene culturale inteso come scambio biunivoco, e le istituzioni pubbliche sono chiamate non solo a fornire un servizio, come in passato, ma anche e soprattutto a ideare strumenti e modalità per un uso condiviso del patrimonio culturale. L’incremento della ricerca in questa direzione e la partecipazione alla vita culturale da parte dei cittadini conduce ad ampliare i confini della tutela e a includere in tale processo non solo il mero controllo autoritario e univoco dello Stato sul bene culturale. La tutela assume anche valenza di cl*a da parte dei cittadini (e volutamente uso il termine «cura» e non «manutenzione»), vale a dire di responsabilità verso un bene che è di tutti, che rappresenta testimonianza della nostra società e costituisce il patrimonio storico collettivo.

La convenzione di Faro emanata nel 2005, ma sottoscritta dall’Italia solo nel 2013, sancisce la volontà degli Stati di sostenere e promuovere politiche di governance integrata in materia di amministrazione e di conservazione del patrimonio culturale, materiale e immateriale. A questo fine la Convenzione promuove come elemento indispensabile l’apertura a soggetti ulteriori rispetto alle istituzioni pubbliche e i paesi sottoscrittori si impegnano, nella gestione dell’eredità culturale, a:

  1. promuovere un approccio integrato e bene informato da parte delle istituzioni pubbliche in tutti i settori e tutti i livelli;
  2. sviluppare un quadro giuridico, finanziario e professionale che permetta 1’azione congiunta di autorità pubbliche, esperti, proprietari, investitori, imprese, organizzazioni non governative e società civile;
  3. sviluppare metodi innovativi affinché le autorità pubbliche cooperino con altri attori;
  4. rispettare e incoraggiare iniziative volontarie che integrino i ruoli delle autorità pubbliche;
  5. incoraggiare organizzazioni non governative interessate alla conservazione dell’eredità ad agire nell’interesse pubblico»[4].

Già nel 2011 l’Unesco aveva affermato queste priorità adottando ufficialmente, su iniziativa del Consiglio internazionale degli archivi (Ica), la Dichiarazione universale sugli archivi. In questo fondamentale documento si riconosce, da un parte, il ruolo degli archivisti quali professionisti dotati di una formazione specifica a iniziale e continua, che svolgono la loro funzione sociale favorendo la produzione dei documenti, selezionandoli, conservandoli e rendendo accessibili per l’utilizzo.Dall’a1tro, accanto a queste figure si riconosce una responsabilità collettiva nella gestione degli archivi, condivisa dai cittadini, dai pubblici amministratori e decisori dai proprietari o detentori di archivi pubblici o privati, dagli archivisti e da altri specialisti dell’informazione, stabilendo l’ impegno affinché «gli archivi siano utilizzati anche per col tribuire alla crescita di una cittadinanza responsabile»[5].

  1. Una gestione partecipata dei beni archivistici

Le considerazioni della comunità internazionale ci portano a considerare i beni archivistici in un’ottica diversa da quella che tradizionalmente siamo stati educati a privilegiare, aprendo anche il nostro settore alla dimensione della gestione partecipata. La ricerca nell’ambito delle scienze politiche ed economiche è stata animata negli ultimi anni dal dibattito scientifico intorno alla gestione dei cosiddetti beni comuni. Ritengo possa essere di qualche utilità, seppure applicato a settori diversi dal nostro, riflettere sulle linee generali di tali studi, poiché ritroviamo in essi alcuni principi teorici affermati nei documenti della comunità archivistica internazionale.

Nel 2004 Luigi Bobbio, in un volume dal titolo estremamente suggestivo, A più voci, ricorda come la collaborazione di tutti i cittadini al processo di conservazione dei beni collettivi costituisca un catalizzatore per l’aumento del capitale sociale[6].

Bobbio afferma che il capitale sociale, costituito da quei legami di cooperazione e di fiducia che sussistono in un certo ambito sociale e che costituiscono essi stessi un patrimonio in grado di produrre frutti nel futuro, può essere accresciuto attraverso un processo inclusivo dei cittadini alla gestione di un processo. Tale attività non è rilevante solo per una specifica questione che ci si propone di affrontare, ma anche per i beni relazionali che essa riesce a gene rare e che potranno continuare a dare frutti anche dopo la conclusione di un determinato processo decisionale: «l’obiettivo dell’amministrazione non sarebbe più soltanto quello di offrire servizi ai cittadini, ma anche quello di mettere i cittadini in condizioni di servirsi da sé»[7].

  1. L’Archivio storico dell’ABI

Tornando dunque ai nostri archivi, vorrei ora analizzare le azioni che l’ABI può esplicare, anche attraverso l’attività dell’Istituto Einaudi, sul prezioso patrimonio conservato dall’Associazione Bancaria e dagli istituti bancari associati.

L’archivio dell’Associazione Bancaria Italiana è stato dichiarato di notevole interesse storico nel 1999 e tale dichiarazione è stata ampliata e ulteriormente confermata nel 2002; per parte sua l’Istituto Einaudi ne sta curando il riordinamento e la descrizione.

D’altra parte, l’Istituto Einaudi e l’ABI si propongono il fine più ampio di produrre, promuovere e sviluppare, nel campo bancario, finanziario e assicurativo, la ricerca scientifica e la formazione.

Un versante su cui ritengo si possa esplicare l’attività di formazione dell’Istituto è la cura della memoria archivistica sia da parte dei giovani cittadini sia da parte del personale delle istituzioni bancarie: questo obiettivo si pone in diretta continuità con l’azione che l’Associazione Bancaria Italiana ha svolto nell’ambito della tutela del patrimonio archivistico bancario fin dalla metà del Novecento.

Nel 1956, infatti, in occasione della Prima conferenza Internazionale sugli archivi tenutasi a Roma, l’ABI pubblicò un volume dedicato al patrimonio archivistico delle aziende di credito[8].

A questa seguirono, negli anni, iniziative di grande rilevanza dedicate a singoli istituti bancari e alla storia del credito nel nostro Paese. Queste riflessioni portarono, nel 1989, all’organizzazione di un convegno ospitato all’ABI e dedicato agli archivi degli istituti e delle aziende di credito e le fonti d’archivio per la storia delle banche, i cui atti furono pubblicati nel 1995 a cura dell’Amministrazione archivistica[9].

Nel 1997, in occasione del convegno dell’Associazione nazionale archivistica italiana (Anai) che si tenne tra Udine e Trieste, 1’ABI presentò i risultati di un questionario sottoposto a circa 1.000 banche italiane.

Sergio Cardarelli, in un suo intervento del 2002, è tornato a esaminare tale questionario, individuando alcuni nodi significativi sullo strato degli archivi bancari italiani[10]. Il questionario, al quale rispose un campione sufficientemente rappresentativo di circa 430 banche, intendeva «acquisire elementi utili per impostare una corretta politica di salvaguardia e di valorizzazione dell’imponente patrimonio culturale conservato dalle aziende di credito». Nella sua analisi, Cardarelli rilevava come i dati fossero meno sconfortanti di quanto si potesse a prima vista immaginare, considerato che molte delle banche interpellate erano nate nel Secondo Dopoguerra e che, dunque, non era ancora maturo il tempo per la costituzione di un archivio storico. Inoltre, i 4/5 delle aziende di credito erano, a quel tempo, di dimensioni estremamente ridotte e quindi era difficilmente sostenibile il costo della costituzione formale di un autonomo archivio storico e della sua gestione.

A distanza di vent’anni, le cose Sono molto cambiate e oggi ci confrontiamo con una nuova realtà notevolmente diversa: si è infatti assistito a importanti fenomeni di privatizzazione e di concentrazione di un numero significativo di banche che, oltre ad aver trasformato il panorama bancario del nostro paese, ci inducono a una riflessione sia sulla memoria storica dei gruppi bancari del passato, sia sulla memoria che stiamo attualmente costruendo. Nell’ambito delle attività dei nuovi grandi complessi bancari esiste, infatti, il rischio di una distinzione gestionale impropria e pericolosa tra archivio storico e archivio corrente: ciò comporta, da una parte, il pericolo di asfìssia dell’archivio storico, confinato all’interno di limiti circoscritti alla prima memoria degli istituti bancari e, dall’altra parte, il rischio della perdita dell’archivio corrente generata da un’abbondanza delle fonti che si fa fatica a gestire nella loro fase di formazione e a manutenere nella fase successiva

In questo nuovo contesto, quali sono gli strumenti che possono portare giovamento al1e criticità che osserviamo negli archivi delle aziende di credito?

  1. Le linee di sviluppo degli archivi bancari

Anzitutto è opportuno sensibilizzare i nostri interlocutori riguardo al principio secondo il quale archivio corrente, archivio di deposito e archivio storico sono tre aspetti di uno stesso sistema: l’archivio è un organismo nel quale è assolutamente impossibile, anzi è dannoso, scindere le varie fasi di vita.

È opportuno elaborare piani di classificazione per gli archivi correnti che siano, auspicabilmente, frutto di una riflessione tra istituti diversi che perseguono i medesimi obiettivi istituzionali, al fine dr raggiungere modelli di gestione archivistica che si alimentano virtuosamente attraverso la condivisione di esperienze e obiettivi comuni

È necessario, inoltre, lavorare sui piani di conservazione e di selezione della documentazione corrente e di deposito. Ne1 2004 1’ABI è stata promotrice della redazione di Linee guida per la selezione negli archivi delle aziende bancarie, frutto di un gruppo di lavoro cui la Soprintendenza archivistica del Lazio ha partecipato attivamente con il contributo della dottoressa M. Emanuela Marinelli, e che mise a punto fondamentali linee di indirizzo per la conservazione degli archivi bancari. Ancora, è necessario dedicare particolare cura all’archivio di deposito – spesso conservato in sede, molto più frequentemente presso società di outsourcing – affinché esso venga costantemente incrementato con il versamento della documentazione proveniente dall’archivio corrente che non è più utile ai bisogni ordinari del servizio, creando un continuum nella gestione del ciclo di vita dei documenti attivi e semiattivi (e, vedremo poi, dei documenti storici)

E in ultimo, occorre curare la corretta gestione della documentazione digitale e degli strumenti informatici di organizzazione degli archivi, e la loro conservazione di lungo termine, come ci dirà più diffusamente Mariella Guercio nel suo intervento.

Su queste nuove e antiche sfide, che costituiscono il fulcro del lavoro degli organi di tutela archivistici, ma che coinvolgono in prima istanza chi produce archivi, invito l’Istituto Einaudi e l’ABI ad assicurare la propria partecipazione e il proprio contributo, affinché sia data adeguata risposta alle istanze di salvaguardia della nostra memoria di cittadini.

 

[1] Si veda, per un generale inquadramento del tema, L’Italia dei beni comuni, a cura di G. Arena e C. Jaione, Roma 2012 e l‘attività di Labsus – Laboratorio per la sussidiarietà, www.labsus,org.

[2] E. sciacchitano, “Anno europeo del patrimonio culturale 2018. Parola d’ordine: partecipazione”, in il giornale delle fondazioni, 15 dicembre 2017, www.ilgiornaledellefondazioni.com/content/anno-europeo-del-patrimonio-culturale-2018-parola-d%E2%80%99ordine-partecipazione

[3] «Coinvolgimento: sensibilizzare al valore del patrimonio culturale in particolare i giovani. Sostenibilità: valorizzare il potenziale del patrimonio cutturale nelle strategie di sviluppo locale, anche attraverso il riuso e il turismo culturale, Protezione: promuovere la qualità negli interventi sul patrimonio culturale, migliorare la gestione dei rischi e intensificare la lotta al traffico illecito, Innovazione: promuovere la ricerca e favorire l’utilizzo dei risultati, incentivane la partecipazione attiva», Ibidem

[4] Consiglio d’Europa, Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società (Cets no. 199), Faro,27 .ottobre 2005, art. I I, http://musei.beniculturali.it/wp-content/uploads/2016/01/Convenzione-di-Faro.pdf

[5] La dichiarazione è stata approvata dall’assemblea generale dell’lnternational Council on Archives a Oslo il 17 settembre 2010 e ratificata dall’Unesco il 10 novembre 2011. Il testo in italiano è disponibile sul sito della Direzione generale Archivi, www.archivi.beniculturali.it/index.php/cosa-facciamo/relazioni-internazionali/ica-cia.

[6] Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Funzione pubblica, A più voci. Amministrazioni pubbliche, imprese, associazioni e cittadini nei processi decisionali inclusivi, a cura di Luigi Bobbio, Roma-Napoli, 2004, disponibile sul sito del Formez http://partecipazione.formez.it/content/piu-voci-amministrazioni-pubbliche-imprese-associazioni-e-cittadini-processi-decisionali.

[7] lvi, p. 133 e ss,

[8] ABl, Gli archivi storici delle aziende di credito, 2 voll., Bancaria, Roma, 1956.

[9] Ministero per i beni culturali e ambientali, Ufficio centrale per i beni archivistici, Gli archivi degli istituti e delle aziende di credito e le fonti d’archivio per la storia delle banche. Tutela, gestione e valorizzazione, Atti del convegno, Roma, 14-17 novembre 1989, Roma q995,consultabile sul sito www.archivi.beniculturali.it/dga/uploads/documents/Saggi/Saggi_35. pdf.

[10] La relazione di S. Cardarelli, Gli archivi delle banche: situazioni e problemi aperti, Pronunciata presso la Banca Popolare di Milano il 7 marzo2002, è consultabile sul sito www.bancaditalia.it/chi-siamo/asbi/bibliografìa-pubblicazioni-archivio-storico/2002-12.pdf